Gli adulti devono giocare con i bambini o lasciarli da soli a sperimentare sul campo? Genitori, indaffarati dalle mille incombenze quotidiane, si chiedono, a volte, se non sia meglio lasciare che i loro figli sviluppino una loro autonomia nel gioco.
Molti esperti sottolineano che, sì, per i bambini, giocare da soli è un ottimo apprendistato per imparare a misurarsi con il distacco dalle figure genitoriali. Accanto a questi momenti, è importante che ci sia anche occasione di giocare con mamma e papà.
Qual è, però, il modo migliore di affiancare i bambini nel gioco?
Questa settimana prendiamo a prestito una citazione da Fulvio Scaparro, pedagogista. In “La bella stagione. Dieci lezioni sull’infanzia e l’adolescenza” parla di un’accezione del termine “gioco” nel campo della meccanica.
“Prendiamo un bullone e avvitiamo sul suo gambo cilindrico un dado. Stiamo tentando un accoppiamento. (…) Bullone e dado si accoppieranno solo se sarà mantenuto il giusto spazio tra le filettature dei due elementi: quel tanto di gioco, cioè, che consenta la mobilità senza far loro perdere il contatto”.
Il gioco, in termini meccanici, è uno “spazio”: se c’è troppo gioco, l’incastro non avviene, se non c’è gioco, l’incastro non è possibile. Questa accezione del termine gioco non è gratuita: giocare, quindi, è anche studiare le relazioni.
Per gli adulti, giocare con i bambini significa interpretare una giusta distanza: accompagnare i piccoli nella sperimentazione, senza sovrapporsi a loro.
Quante volte il bambino non riesce a concludere un puzzle o una costruzione e la mamma è tentata di risolvere il gioco al posto suo? Avete provato? Il bambino si innervosisce: voleva riuscirci da solo! Come suggerisce Maria Montessori,
“aiutami a fare da solo”,
è la richiesta implicita dei nostri cuccioli. Se il gioco è, tra l’altro, gioco di relazioni, mamma e papà, per giocare con i bambini, dovranno imparare a suggerire la soluzione, di modo che sia il bambino a scoprirla.
I genitori dovranno stare né troppo lontano, né troppo vicino.
Dovranno essere pronti a consolare, quando il bambino è piccolo o ad aiutarlo, quando sarà più grande, a gestire i casi in cui il gioco non riesce e subentra la frustrazione. Dovranno contenere e sostenere. Come suggerisce Scaparro, giocare con i bambini diventa un atto educativo:
“La qualità della nostra vita, cioè delle nostre relazioni con gli altri, con noi stessi e con l’ambiente, dipende dal tempo che dedicheremo a giocare con il gioco, perché giocare è tentare, provare, sperimentare, corteggiare, cercare il giusto spazio per accoppiarsi, per far fronte alle diversità”.
Il bambino che gioca insieme all’adulto, in un contesto accogliente, dove bullone e dado si sono bene agganciati, mostrerà molto presto di saper dirigere il gioco. Laddove incontrerà un problema, saprà dire
“mamma, ho pensato a una soluzione”.